Senza alcun proclama, in un silenzioso sottotraccia e diversamente da altre produzioni come Stranger Things o The Crown, il 18 dicembre Netflix ha rilasciato The OA, affidando unicamente ad uno scarno ed indecifrabile trailer l’annuncio della novità. Come abitudine per le Produzioni Originali, tutte le otto puntate della stagione sono state rese disponibili.
The OA è una serie diversa dalle altre: non un modo di dire, dato che ogni serie si proclama “l’unica” in qualcosa, ma è diversa nel vero senso del termine, più o meno come un’aspirapolvere è diverso da un piatto di riso al curry.

La percezione che si ha è che Netflix abbia fornito fondi e mezzi a Brit Marling (anche attrice protagonista) e Zal Batmanglij, limitandosi ad attendere il prodotto finito. Prodotto che non ha nessuna delle caratteristiche degli Originals: non l’enorme panoramica di Marco Polo, non il claustrofobico gioco di Narcos, non i muscoli sudati di Daredevil. The OA è “qualcosa di completamente diverso”, fin dall’inizio.

Ed è per tale diversità che ha spiazzato la critica e gli spettatori: impossibile da recensire, è inutile pensare di assegnarle voti, stelline o pomodori marci. The OA è un’esperienza sensoriale, un viaggio che si alimenta di dubbi, ipotesi, teorie ed irrealtà: iniziarla e vederla fino alla fine presuppone un atto di fede che non sempre chi guarda è disposto ad offrire. In un tempo in cui la serialità è una produzione di massa e la velocità di rilascio è superiore alla capacità dello spettatore di visionare i prodotti, scegliere di vedere The OA vuol dire mettere tutto il resto in pausa, dimenticarsi che esistono mille altre serie che forse potrebbero piacerci di più.

Nulla è importante, iniziato il viaggio di (e con) Prairie Johnson. Lei è appena tornata a casa, dopo sette anni in cui si sono perse le tracce, ed ha riacquistato la vista persa da bambina. Questo l’esordio della serie, ma non l’inizio della storia, che racconterà eventi la cui unicità farà impallidire gli stessi presupposti d’apertura.
La storia comincia quando Prairie, raccolto un eterogeneo gruppo di persone che dovranno aiutarla in un futuro prossimo ma ancora indefinito, inizia a narrare la sua vita. Ed è lì che, dopo 60 minuti di visione, appaiono i titoli di testa, su una Russia in cui «la neve era alta due metri, ma si intravedevano lo stesso molte grandi case oltre gli alti cancelli, perse nel bianco».

La suadente narrazione di Prairie guiderà le restanti sette puntate, in un susseguirsi di eventi che si spingono nei campi del sovrannaturale, dell’impossibile e dell’inaccettabile: ma, come detto, è necessario un atto di fede perché tutto funzioni. La richiesta di Marling e Batmanglij è esosa: per otto ore dimenticatevi della realtà, dei limiti imposti dalla scienza, e convincetevi che possa esistere qualcosa oltre ciò che vediamo e tocchiamo. Ma non limitatevi a questo: dovrete “fingere di credere finché non crederete veramente”, lasciarvi trasportare dal flusso lento ma incessante di una storia che è contemporaneamente una favola, un dramma familiare, un racconto di formazione ed una novella dell’orrore moderno.

Se accetterete queste condizioni, The OA non potrà lasciarvi indifferenti: potrete odiarla perché, al termine dell’ottava puntata non sarete riusciti a “credere veramente”, ma potrete sentire il bisogno di sapere cosa succede “dopo” e cosa è davvero successo nelle ore in compagnia di Prairie. Non sarete soli in entrambi i casi: a fronte di molti spettatori che sentono di aver perso il loro tempo, forse complice una visione distratta durante la quale non hanno saputo escludere il mondo esterno, troverete in Rete spasmodiche discussioni sugli eventi narrati, sui piani di realtà della storia e su ciò che potrebbe ancora succedere in una (ancora ipotetica) seconda stagione, con un coinvolgimento che non si vedeva dai tempi di Lost o Fringe.

The OA, se sarete tra questi ultimi, vi avrà fatto tornare la voglia di credere alle cose che vanno oltre la nostra natura: che qualcosa possa succedere ed elevarci dalla nostra condizione finitamente umana. Ma anche senza troppe disquisizioni filosofiche, The OA vi avrà donato qualcosa di completamente diverso.

Valerio Mocata

The OA: qualcosa di completamente diverso
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